giovedì 21 marzo 2019

About a man

Mio padre non ha assistito alla nascita né mia né di mio fratello (che poi secondo me mettono solo più ansia i papà in sala parto), non mi ha mai dato il biberon e non mi ha mai cambiato un pannolino. O perlomeno non mi risulta. Non ha mai lavato i piatti e nemmeno i pavimenti.

Però quando tornava (tardi) dal lavoro, chiedeva a mia mamma “c’è bisogno di qualcosa per i bambini? Le scarpe le hanno? Vuoi andare sabato a vedere dove comprare i giubbotti?”
Spesso usciva che noi dormivamo ancora e rientrava che noi eravamo già a letto. Aveva mal di schiena ma quando il dolore non era troppo, accettava sempre che gli zompassimo in braccio.
Giocava con noi a fare la lotta, ci disinfettava le ginocchia sbucciate con l’alcol o la tintura di iodio e ripudiava il mercurocromo “perché se non brucia vuol dire che non fa effetto”, mi ha accompagnato lui a scuola il primo giorno della prima elementare perché mio fratello era  al Niguarda (centinaia di chilometri da casa) e mia madre era con lui.
Non è mai venuto a parlare con la maestra, non ha mai preso una pagella (ma “magicamente” sapeva tutti i voti)
Quando lavorava anche il sabato, si stava a casa tutto il fine settimana, quando lavorava solo fino al venerdì, il sabato ci “portava in giro”, che significava andare per negozi, fare la spesa e cercare sempre le scarpe e i giubbotti (aveva la fissa di scarpe e giubbotti!), la domenica mattina ci diceva di andare a trovare la nonna “sempre sola”, e al pomeriggio si andava dai cugini.
Non ci ha mai portati dal pediatra ma chiedeva “siete andati dal dottore?” e ci metteva la pezza bagnata sulla fronte quando avevamo la febbre, unica occasione in cui mi dava il bacino sulla fronte e mi permetteva di dormire un poco sul “suo” divano, per poi portarmi in braccio fino al letto.
A fine anno scolastico diceva “Dai che andiamo a prendere un giocattolo” e tornavamo a casa con buste strapiene di giocattoli fighi, ma non fighissimi perché “erano inutili e noiosi” (i giocattoli diventavano inutili e noiosi quando la mamma diceva che costavano troppo).
Ha sempre avuto un vocione possente e le uniche volte in cui parlava piano era quando diceva a mia madre “Non mi hanno pagato, non ci sono soldi”.
Le sue richieste erano ordini indiscutibili, i nostri errori erano sempre imperdonabili.
Aveva la testa rivolta al televisore o sul giornale e la alzava solo quando io lo prendevo in giro indossando un suo cappotto gigante e facendogli il verso, annunciando a tutti “Adesso fate quello che dico io” e lui, diceva ridendo “Aiuto, che paura!”
Mio padre mi obbligava a mangiare “quello che c’è “ (mai sentito chiedere in famiglia cosa volessimo da mangiare) ma quando veniva beccato a “rubare” la Nutella dalla credenza, iniziava il gioco del “guarda che la rubo a te” e si faceva a gara a chi fregava a chi il cucchiaino grondante e carico di crema spalmabile.
Mio padre ci teneva, ci tiene ancora, all’educazione a tavola, motivo per cui solo a lui, diceva, era concesso concludere il pasto con un sonoro rutto 7 scala Mercalli.
Mio padre ha sempre le mani calde.
Mio padre sa aggiustare tutto, sa sempre dove si compra il tale materiale, sa sempre chi ha torto, ovvero tutti tranne lui; odia gli sprechi, anche quelli di parolacce, motivo per cui le conserva per giorni interi per poi sputarle fuori a raffica quando si butta nel traffico o nella folla del centro commerciale trascinato da mia madre. 
Mio padre lavorava tanto, io a otto anni sapevo rispondere alle sue telefonate di lavoro e gli correggevo le intestazioni delle fatture.
Era così raro averlo a casa che gli chiedevo “mbé? Che ci fai a casa?” E lui “Veramente è casa mia...siete voi gli intrusi”, perché mio padre era ed è burbero severo e silenzioso ma quando parla non dice mai cose del tutto serie.
Gli ho telefonato per gli auguri e fingeva di non conoscermi. Aveva voglia di parlare. Quando lavorava non aveva mai tempo di parlare. 

Adesso ha tanto tempo.

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