venerdì 22 marzo 2019

Della mania dell’internet

Sei sempre con 'sto telefono in mano!
Poche ore di offline mi stanno facendo capire quanto sia dipendente da questi aggeggi.
Giuro, era uno dei miei buoni propositi: dimostrare che si può vivere una giornata senza smartphone.
Infatti mi si è presentata l'occasione: la scorsa notte, nell'ora esatta della massima mia cerebra espressione (tra le tre e le quattro) mi è arrivato il gentil messaggio del mio Operator Gentile: "Hai terminato i tuoi Giga. Attaccati al tram e fischia in curva fino al rinnovo".
Ma mica solo del cellulare, eh...no, troppo facile.
Sono riuscita a finire pure i dati del routerino Wifi.
Sono un genio. Pirla.
E adesso? Quale occasione migliore per rispolverare le vecchie abitudini?
Guardo il mio telefono e mi sento come quando, presa dalla foga dell'infanzia, aprivo forsennatamente la scatola di un giocattolo elettronico, di quelli  pieni di scritte "Suona/canta/mangia/beve/suoni realistici" e poi... non faceva una cippa. Perché le pile non erano incluse. E probabilmente non avevo sottomano nemmeno un cacciavitininino per aprire l'alloggiamento delle batterie.
La stessa frustrazione.
Tutto tace. Non ci sono notifiche. Probabilmente nella Nazione Virtuale chiamata Internet (tra l'altro la Nazione più popolata) sta scoppiando qualche guerra e io non ne sono al corrente. Qualcuno sta scrivendo la scemenza del secolo e io non sono lì a sbruffare latte e cereali sulla tastiera. 
Ma chi se ne importa: ho più tempo per cucinare, vuoi mettere? Ecco. Non ho ricettari fisici. GialloZafferano non funziona offline. 
E nemmeno Wikipedia. Io DEVO consultare Wikipedia ogni giorno, anche più volte. Non solo perché sono ignorante sul novantanovevirgolanovantanovenovenovenovenovenovenovenovenovenoveperiodico degli argomenti esistenti, ma perché non ho un dizionario fisico. Non più. Il mio Zingarelli se l'è coattamente ripreso quella simpatica della mia ex suocera. Spero le sia cascato sull'alluce valgo. Non ho nemmeno il dizionario dei Sinonimi e Contrari.  Devo inserirlo nella Wishlist.
Le bozze del mio blog rimarranno tali.
E la "Parola del giorno" che pubblico su Facebook? 
Intanto che ci penso son già passate due ore. Due ore di silenzio. Mi immagino che quando avrò di nuovo il collegamento, il mio telefono esploderà a suon di notifiche e allarmi vari, creando una pericolosa nube a fungo. 
Ma quando doveva arrivare quel pacco da Amazon? Domani? Oggi? La mia cover nuova quanto l'avevo pagata? Aspetta che guar... ah, no. Non lo guardo. 
Ho persino buttato i volantini pubblicitari di tutti i supermercati dei dintorni. Devo vedere sul sito Penny quanto era l'offerta del bastimento di banane del Guatemala. E invece no. Nisba. Devo schiattare con questo dubbio atroce.
Ho tempo. Già che ci sono, inserisco gli ordini di creme, cremine, rossetti e profumi. Eeeehhhh... Volleeeviii!
Va bene, me li segno su di un foglio di calcolo poi ci penso.
Io non li so usare i fogli di calcolo. 
Ma adesso ho il tempo di imparare, che bello! 
Magari con qualche tutorial. 
Online.
Sì, un giorno lo farò.
E altre ore se ne sono andate. 
Ho la sensazione che le vene del collo siano raddoppiate di volume. 
E se mi viene un ictus?
Ho la tachicardia.
E se mi è prolassata la valvola mitrale?
E che ne so... riuscirò a leggere qualche info quando ormai sarà troppo tardi?
E poi ho i capelli unti.
E non posso sapere cosa consiglia il team di Cliomakeup a riguardo.
E magari i saldi on line di Kiko sono strepitosi e io non lo so.
Ma poi, si dice valvola mitrale o mitralica?
Boh. 
Ho tempo, posso pacioccare con il pianoforte virtuale, hai visto mai  che magari mi scopro un nuovo talento e cambio vita, saldo i miei debiti, compro una casa a mia mamma, aiuto gli amici...
"Il gioco necessita di una connessione. Vai a farti furba. Sempre sul tram fischiando in curva".
Apro istericamente tutte le app della mia cartella "Gaming" e niente. Non collaborano. 
Ho in mano una pistola a salve.
Un parallelepipedo di vetro e metallo utile quanto una forchetta per il brodo.
In compenso la batteria mi sta durando un sacco.
Riscopro il valore degli sms.
Peccato che una delle mie migliori amiche abbia gli sms a pagamento. Salato. E cambia piano tariffario, Claudia!
Mi vengono scalati otto euro dal credito perché per alcuni dispositivi i messaggi si trasformano in email e le email vengono calcolate come mms.
Che costano parecchio.
Cornuta e mazziata.
Potrei telefonare.
Il che significa fare esaurire chiunque con le mie chiacchiere.
Non posso usare i calendari mestruali.
Non so se mio figlio ha caricato un nuovo video.
Volevo scaricare della musica.
Ho solo cinquecentoundici brani.
Non credo che mi bastino.
Aspetta che vedo se sono arrivati i soldi dell'ultimo lavoro e intanto faccio un check delle mie finanze.
Che gestisco on line.
Ho la vista un po' offuscata, ma non solo con la stanchezza, credo proprio di dover cambiare la correzione degli occhiali. 
Sicuramente su Groupon c'è qualche offerta. 
Che scadrà venti minuti prima del rinnovo di internet.
Il mio fidanzato, facendo da hotspot col suo telefono, mi aggiorna le app.
Il mio fidanzato è tirchio con i Gigabyte e riesco a malapena e scorrere i titolo delle email ed è poco empatico sulla mia necessità di smessaggiare con chiunque a qualsiasi ora per parlare di niente. O di tutto. Ma che ne sa lui, che è uomo.
La frase più lunga in vita sua che ha scritto su WhatsApp è stata "Prepara il pranzo per le 13:20". 
Avevo giusto voglia di pizza.
La pizzeria sotto casa mia ha il servizio Just EAT. Due spolliciate e arriva il garzone in pochi minuti.
Eh no.
Mi tocca telefonare come ai vecchi tempi.
E sopratutto, porca paletta, non so se il mio fidanzato effettua gli accessi dove come e quando.
Però neanche lui può vedere me.
Scrivo alla cieca, non so se legge e se sta rispondendo o si è addormentato col telecomando in mano e la bocca aperta.
O sta scrivendo a qualcun altro.
O altra.
Mi viene la nostalgia delle cabine telefoniche e del telefono fisso di casa, che tempravano gli animi a suon di protocolli e convenevoli.
Irene e Nadia mi faranno certamente compagnia almeno di notte.
Fabrizia mi ha seguita via sms in questa giornata fuori dai commenti on line. 
Telefono a Nadia.
Prolissa lei, prolissa io: quale migliore occasione per chiacchierare e condividere le stesse malattie mentali?
Che poi lei, con molto tatto, mentre io lotto con la mia astinenza, mi dice che su internet ha trovato questo che poi blablabla e su Google blablabla e vediamo se c'è il link blablabla.
Grazie, eh...
Il mattino dopo mi telefona Claudia, per confermarmi che ci vedremo martedì. Che bello.
E gli orari dei treni?
Ah, beh, li guarda on line e poi mi fa sapere con un WhatsApp, eh...
Ho il tempo per finire di leggere qualche libro, per arricchire il mio vocabolario, illuminare il mio cammino e allargare i miei orizzonti, scoprire nuovi punti di vista.
Io adoro l'odore della carta.
E poi di libri ne ho un paio in sospeso.

On line

giovedì 21 marzo 2019

About a man

Mio padre non ha assistito alla nascita né mia né di mio fratello (che poi secondo me mettono solo più ansia i papà in sala parto), non mi ha mai dato il biberon e non mi ha mai cambiato un pannolino. O perlomeno non mi risulta. Non ha mai lavato i piatti e nemmeno i pavimenti.

Però quando tornava (tardi) dal lavoro, chiedeva a mia mamma “c’è bisogno di qualcosa per i bambini? Le scarpe le hanno? Vuoi andare sabato a vedere dove comprare i giubbotti?”
Spesso usciva che noi dormivamo ancora e rientrava che noi eravamo già a letto. Aveva mal di schiena ma quando il dolore non era troppo, accettava sempre che gli zompassimo in braccio.
Giocava con noi a fare la lotta, ci disinfettava le ginocchia sbucciate con l’alcol o la tintura di iodio e ripudiava il mercurocromo “perché se non brucia vuol dire che non fa effetto”, mi ha accompagnato lui a scuola il primo giorno della prima elementare perché mio fratello era  al Niguarda (centinaia di chilometri da casa) e mia madre era con lui.
Non è mai venuto a parlare con la maestra, non ha mai preso una pagella (ma “magicamente” sapeva tutti i voti)
Quando lavorava anche il sabato, si stava a casa tutto il fine settimana, quando lavorava solo fino al venerdì, il sabato ci “portava in giro”, che significava andare per negozi, fare la spesa e cercare sempre le scarpe e i giubbotti (aveva la fissa di scarpe e giubbotti!), la domenica mattina ci diceva di andare a trovare la nonna “sempre sola”, e al pomeriggio si andava dai cugini.
Non ci ha mai portati dal pediatra ma chiedeva “siete andati dal dottore?” e ci metteva la pezza bagnata sulla fronte quando avevamo la febbre, unica occasione in cui mi dava il bacino sulla fronte e mi permetteva di dormire un poco sul “suo” divano, per poi portarmi in braccio fino al letto.
A fine anno scolastico diceva “Dai che andiamo a prendere un giocattolo” e tornavamo a casa con buste strapiene di giocattoli fighi, ma non fighissimi perché “erano inutili e noiosi” (i giocattoli diventavano inutili e noiosi quando la mamma diceva che costavano troppo).
Ha sempre avuto un vocione possente e le uniche volte in cui parlava piano era quando diceva a mia madre “Non mi hanno pagato, non ci sono soldi”.
Le sue richieste erano ordini indiscutibili, i nostri errori erano sempre imperdonabili.
Aveva la testa rivolta al televisore o sul giornale e la alzava solo quando io lo prendevo in giro indossando un suo cappotto gigante e facendogli il verso, annunciando a tutti “Adesso fate quello che dico io” e lui, diceva ridendo “Aiuto, che paura!”
Mio padre mi obbligava a mangiare “quello che c’è “ (mai sentito chiedere in famiglia cosa volessimo da mangiare) ma quando veniva beccato a “rubare” la Nutella dalla credenza, iniziava il gioco del “guarda che la rubo a te” e si faceva a gara a chi fregava a chi il cucchiaino grondante e carico di crema spalmabile.
Mio padre ci teneva, ci tiene ancora, all’educazione a tavola, motivo per cui solo a lui, diceva, era concesso concludere il pasto con un sonoro rutto 7 scala Mercalli.
Mio padre ha sempre le mani calde.
Mio padre sa aggiustare tutto, sa sempre dove si compra il tale materiale, sa sempre chi ha torto, ovvero tutti tranne lui; odia gli sprechi, anche quelli di parolacce, motivo per cui le conserva per giorni interi per poi sputarle fuori a raffica quando si butta nel traffico o nella folla del centro commerciale trascinato da mia madre. 
Mio padre lavorava tanto, io a otto anni sapevo rispondere alle sue telefonate di lavoro e gli correggevo le intestazioni delle fatture.
Era così raro averlo a casa che gli chiedevo “mbé? Che ci fai a casa?” E lui “Veramente è casa mia...siete voi gli intrusi”, perché mio padre era ed è burbero severo e silenzioso ma quando parla non dice mai cose del tutto serie.
Gli ho telefonato per gli auguri e fingeva di non conoscermi. Aveva voglia di parlare. Quando lavorava non aveva mai tempo di parlare. 

Adesso ha tanto tempo.

Onestamente

Una volta, mio cugino Fede, mi ha suggerito un gioco da veri duri:
Lanciare tegole rotte e sassi oltre il muretto, direttamente nel giardino del vicino.
Una figata.
Stavo per iscrivermi alle Olimpiadi.
Uno di là ha esultato, da come ero brava.
Ha proprio urlato
“Aaaaaaiaaaaaaa”
Non ero mai stata allo Stadio quindi immaginavo fosse quello il tifo.
Dopo due ore, inspiegabilmente, mio padre sale su incazzato come Sgarbi nei momenti migliori.
Tra un tonfo di sberla e l’altro credo di aver avuto le allucinazioni, perché sentivo frasi come “Hai quasi accoppato la vicina!” “Cretina indecente!” “Io ti ammazzo”.
E pensavo, “ma non stava morendo la vicina? Moriva pure bene, esultando”.
E mio cugino Fede, dal quale ho imparato la più grande lezione di Onestà di tutta la mia vita:
“Io ti ho detto di non lanciarle e tu l’hai fatto lo stesso”
Ho imparato che l’Onestà è un concetto relativo, insomma.

Dipende se ci rimetti il culo.

*Granella Di Vaniglia*

Tutti in fila. Il metodo Mamma Papera

Su Facebook una mamma chiede come fare per insegnare ai suoi figli a camminare ben bene in fila ordinati per la strada.
So che ora la società ci vuole tutte mamme zen aperte al dialogo e al confronto.

Al contrario dei bambini di questa generazione, 
io avevo una mamma papera pazzesca.
Oh, la seguivamo in fila fila fila, depilandoci gli avambracci sui muri delle case perché “passano le macchine”. (Due ogni quarto d’ora).Io ero una bravissima paperella. Un anattroccolo coi controcazzi.
Seguivo pedissequamente, testa bassa, senza nemmeno chiedere dove si stesse andando. L’alternativa era ricevere una sonora manata che ti spediva sulla luna e ti facevarimbalzare su un altrettanto sonora manata del papá.
Parco o fila in posta, era uguale.
Zitta e muta, raspando i gomiti sui portoni del paesello.
Ma i miei erano così in tutto, ci hanno insegnato ben bene la gerarchia:
Io genitore.
Tu figlio.
Io Everest.
Tu sassolino.
Io ragione.
Tu torto.
Io torto a ragione.
Tu torto.
Io ti meno.
Tu rispondi.
Io ti meno il doppio.
Tu taci.
Io ti dico di rispondere.
Tu rispondi.
Io te le suono di nuovo.
Ma son cresciuta bene, sai?
Ho rispetto per tutti.
Sono equilibrata.
Mangio sano.
Metto la flanella.
Mangio se no mi sciupo.
Dico Buongiorno Buonasera Permesso Scusi Grazie.
Ogni tanto riesco a distendermi e lasciare la posizione fetale anche per cinque minuti di fila.
Metto il pollice in bocca, ma non sempre il mio, mamma non lo sa.

Il mio psicologo dice che faccio progressi e mi ha regalato la tazza salvagoccia.

Per festeggiare, lui, si è comprato una Maserati.


*Granella Di Vaniglia*

FlaiLedi

La scoperta.

Non so se lo sapete. 
Se non lo sapete ve lo dico senza peli sulla lingua.
Io odio profondamente essere costretta a dimostrare fatica, svolgendo le mansioni domestiche.
Mi ricordo, anni fa, mia madre con la schiena curva, il volto paonazzo e le nocche bianche, serrate sul manico dello spazzolone per i pavimenti.
E, giuro, ricordo di averla più volte sentita dire che se non stai faticando, non stai facendo bene il tuo lavoro.
Ora, lasciando l’etica  del lavoro secondo cui, giustamente, se sei pagato per farti il culo, ti conviene trottare se vuoi portare a casa la pagnotta e magari qualche cosa in più, io credo che questo pensiero sia totalmente inutile quando si tratta delle pulizie di casa propria.
Fatta questa premessa, mi sono guardata intorno un mattino e, approfittando dell’accensione accidentale del neurone numero centoventotto bis, ho guardato con consapevole spirito critico la mia voglia di fare un cazzo.
E facciamo poco i moralisti, che lo so che state leggendo questo pezzo sul trono di ceramica.
Perennemente alla ricerca di una soluzione comprovata per tenere in ordine la casa senza muovere i muscoli dispari e, soprattutto, senza rischio di scazzi e recidive, mi sono imbattuta su vari gruppi Facebook (ahhh i gruppi di Facebook meritano un articolo tutto per loro) su come arredare e pulire casa.
All’inizio sembrava che le utenti fossero tutte fissate col metodo KonMari,una folletta orientale tutta sorrisi e soluzioni che vive col marito e due figli in quaranta metri quadri, cosí, dopo mesi di incertezze, ho deciso di comprare il libro di questa celeberrima creatrice di nuove felicità.
Alla terza pagina, ho avuto uno shock. La signorina, descrivendosi negli anni d’oro della giovinezza, da ragazza, sfanculava la vita sociale in favore del riordino di libri e vestiti, di arrotolamento di felpe e pancere, appaiamento di calzini, creazione di righe e colonne di fazzoletti, catalogazione di pashmine; ma non solo roba sua eh, che al limite avrebbe solo dato una gran mano a sua madre, ma ficcava pure il naso nelle stanze degli altri membri di famiglia per poi addirittura azzardare nelle case delle amiche. Ci avesse provato con me le avrei fatto le mèches a suon di sberloni. Figuriamoci se prendo consigli da una ex adolescente con disturbi ossessivi compulsivi: si tenga le sue fisime che io mi tengo le mie, perbacco!
Archiviato il libro della pazza alla sessantottesima pagina, mi sono imbattuta nel metodo FlyLady.
A me, il nome mette i brividi.
Sembra il nome di un salvaslip o di una protezione per gli aloni di sudore sulle camicie.
Ma ad un certo punto ero cosí disperata e determinata a trovare una soluzione che ho voluto indagare più a fondo. 
Ora, avete presente Alice la curiosona che guarda nella tana del coniglio, ci finisce dentro e trova un mondo tutto nuovo? Ok, ci siete.
FlyLady sembra il l’Eden, la pace, la consolazione di tutte quelle che “lo voglio fare, lo voglio fare bene, ma non voglio rinunciare alla mia vita”.
Innanzitutto, leggendo le utenti che si sono approcciate a questo metodo, Made in USA, of course, sembra che la loro vita sia letteralmente cambiata, passo dopo passo; sono donne tutt’altro che perfette (altrimenti non andrebbero a cercar consigli) che avevano bisogno di rimettersi in piedi e lo stanno facendo a suon di post-it e lavelli splendenti. In barba a chi ha come mantra “Bicarbonato e aceto” e come bacchetta magica il Dyson.
Provare cosa costa?

Il metodo inizia con una serie di babystep, di piccoli passi adatti a chi il fallimento lo mescola col caffè latte a colazione.
Lo step numero zero, consiste nel chiudere una serata lucidando il lavello della cucina.
Ma tutto tutto eh.. addirittura passando del filo nei minuscoli interstizi delle varie giunture, proprio lí, dove il calcare ti fa le pernacchie ogni volta che provi a debellarlo.
Io ho voluto esagerare e ho messo i filtri-tappo in lavastoviglie, cosa che faccio ogni volta che carico la lavastoviglie, ma la mia sera numero zero mi sembrava di aver fatto l’opera pia piú pia del mondo.
Il babystep numero uno, attenzione attenzione, consiste nel mantenere pulito il lavello.
Già averlo trovato lindo dalla sera prima ti deve aver fatto un effetto alla Gallo Cedrone tipo “ Te ne scendi c’a vestaja, era caffellatte en mano e dici... ma’ndo cazzo sto?!”
ma il fatto che il tuo unico compito durante la giornata sarà quello di mantenere il lavello pulito, ti dá quella botta di...di...come dire...”Ora comando io e lo decido io come devono andare le cose”.
Passi e spassi più volte al giorno in cucina e stai ad asciugare goccioline, mettere la tazzina subito in lavastoviglie e dare una spruzzata di lucidante che sia mai sia stato troppo poco quello della sera prima.
E’ una scemenza eh, peró ti cambia il modo di vedere le cose. Ti dá il senso di controllo che avevi perso da un pezzo.
E riprendere il controllo un piccolo passo alla volta, é il modo migliore di consolidare un cambiamento.
La cosa figa, é che se per N motivi ti impantani o non puoi seguire gli step, sei in pieno diritto di ricominciare da capo.
Ad esempio, a casa nostra, c’è stata un’epidemia con varie ricadute di un’influenza pazzesca: febbri altissime, tossi da fumatori, nausea...ho iniziato io, a turno l’ho attaccata a tutti e fra uno e l’altro abbiamo tutti avuto una ricaduta. Tre settimane di sudate, lenzuola zuppe da cambiare, medicine sui comodini, sulla scrivania, sui mobili in sala, gente che a qualsiasi ora chiede il termometro e l’acqua per combattere l’arsura.
Il vantaggio é che ho cucinato poco, veramente molto poco, lo svantaggio é che ci siamo creati spazi di quarantena con divieto di contatto fisico con alcuno. Praticamente ci parlavamo col walkie-talkie Ringo da una stanza all’altra.
Ora siamo in fase di assestamento a suon di integratori, e consolidamento di lavello intonso, ma voi rimanete incollati allo schermo, perché il prossimo baby step é una figata pazzesca.








*Granella Di Vaniglia *